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Home » Articoli » Non vuole curarsi, come posso aiutarlo

Non vuole curarsi, come posso aiutarlo

  • di Domenico Bumbaca
  • 13/11/201806/01/2019
aiutare chi non vuole curarsi

Come aiutare chi non vuole essere aiutato

Mi è capitato molte volte di essere contattato da persone che vorrebbero aiutare una persona con problemi psicologici, ma non sanno come fare.

Ad esempio, genitori con figli con qualche problema, persone che vorrebbero aiutare il proprio partner, …

Ebbene io faccio sempre questa domanda :’ La persona, sa di avere un problema? La persona, vuole essere aiutata? La persona sa che lei è qui?. Etc.

Tutte le volte, immancabilmente, la persona inviata contro la propria volontà, dopo qualche seduta, interrompe e non viene più.

Genitori, amici, partner, rimangono sconsolati e con il problema ancora da risolvere, dal momento che i comportamenti, giudicati negativi, permangono nel figlio adolescente, oppure over40 che vive ancora con i genitori, oppure all’interno della coppia.

Inutile dirlo ma la persona oggetto di attenzione, raramente condivide la preoccupazione del congiunto. Anzi, quasi sempre afferma che a curarsi deve essere l’altro.  

Quindi, ci troviamo in una situazione, ove il diretto interessato, non rileva di avere un problema, e quindi non cerca un aiuto. Non ‘vedono’ questa esigenza che magari c’è. Allora, altri fanno quello che dovrebbe fare lui/lei.

Cosa fare – il soggetto è adulto

In presenza di un adulto non motivato, iniziare una terapia è piuttosto difficile. E’ pressoché impossibile costringere un adulto (che non ne sente il bisogno) a curarsi. Questa difficoltà aumenta se il soggetto in questione non è violento o pericoloso.

Ci sono persone che giocano, bevono, giocano d’azzardo, che non fanno nulla nella vita, non hanno amici, stanno tutto il giorno in casa, … ebbene, queste persone, se non realizzano che stanno buttando la propria vita e quindi non sentono l’esigenza di aiuto, non possono essere costrette.

Chi si trova a dover gestire queste persone, percepisce un profondo senso di impotenza. Sono inutili tutti i tentativi di ‘scuotere’  la persona.

Finchè i tentativi hanno una intensità moderata, c’è qualche speranza di essere efficaci ma se diventano insistenti, eccessivi, si può assistere al paradosso che le difese della persona aumentino.

Non fare nulla

In genere dietro situazioni del genere c’è presente anche un conflitto familiare che può essere o meno legato al fatto che l’interessato, rifiuta le cure suggerite.

In casi del genere, la famiglia dovrebbe mettersi in discussione e valutare un incontro con lo psicologo che li veda tutti coinvolti e partecipi.

L’interessato, vedendo che la famiglia partecipa alle sedute, può, con il prosieguo delle medesime, realizzare che si, forse è proprio lui ad avere un problema specifico e finalmente accettare di continuare da solo.

Comunque, anche in questo caso, negare il conflitto all’interno della famiglia potrebbe essere un errore. Sarà quindi bene individuare la natura del conflitto e cambiare modalità di comunicazione tra i membri della famiglia stessa.

Raramente esiste un unico colpevole.

Le sedute congiunte, ovvero tra la famiglia e il paziente ‘recalcitrante’, migliora la situazione, dal momento che cambia il modo di comunicare e chiarisce meglio le varie posizioni e i fatti presenti e passati trovano una migliore collocazione.

Il dialogo, questo sconosciuto

Sembrerebbe abbastanza dimostrato che nelle famiglie ove c’è un paziente che non si riconosce tale, il dialogo tra i vari componenti è difficile e talvolta assente.

La presenza di un soggetto ‘difficile’ potrebbe quindi descrivere e rappresentare il capro espiatorio del conflitto in seno alla famiglia stessa.  

Il rapporto con lo psicologo

Qualora la famiglia accetti di partecipare ai colloqui, il più delle volte lo fa con la convinzione che è ‘solo’ il congiunto ad avere problemi e che quindi presto abbandonerà le sedute. Questo è un atteggiamento da evitare.

Il problema è quasi sempre della famiglia che trova nel soggetto problematico il polo ove tutte le tensioni vengono scaricate.  Verrebbe quindi da dire che entrambi (paziente e inviante) hanno un problema in comune.  Sono entrambi attori di uno schema conflittuale ed entrambi servono per la risoluzione.

Cosa fare – il soggetto è un adolescente

Cambia poco, rispetto a quanto espresso sopra. Anche in questo caso, l’adolescente potrebbe rappresentare il parafulmine delle tensioni famigliari e il coinvolgimento dell’intera gruppo non può che giovare al ripristino dell’armonia all’interno della famiglia stessa.

..

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